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Differenza tra arresto cardiaco e infarto

Sintomi, cause e trattamento

Molte persone confondono l’arresto cardiaco con l’infarto, pensando che durante quest’ultimo il cuore smetta di battere.

In realtà, sebbene un infarto molto grave possa determinare un arresto cardiaco con morte improvvisa, un cuore colpito da infarto continua generalmente a battere.

Vediamo nel dettaglio quali sono le caratteristiche e le differenze tra l’arresto cardiaco e l’infarto.

 

Infarto

L’infarto è un danno permanente a un tessuto o organo, causato da un’ischemia prolungata (insufficiente apporto di sangue), nel caso di infarto cardiaco, l’organo interessato è il cuore.
Con il temine infarto del miocardio si intende la necrosi (morte del tessuto) causata dall’ostruzione di una o più coronarie, le arterie deputate alla irrorazione del muscolo cardiaco.

L’area colpita necrotizzata e non è più in grado di recuperare le proprie funzioni.

L’infarto viene comunemente chiamato anche “Attacco di Cuore”, anch’esso talvolta confuso con “Arresto Cardiaco”.
Spesso si tende ad associare la parola infarto a quello specifico del miocardio, il più comune, che viene provocato dall’occlusione di un’arteria coronaria e dalla conseguente ipossia che colpisce la regione irrorata dal vaso ostruito.

Le forme cliniche più frequenti di infarto sono:

  • Infarto del miocardio (forma di infarto più frequente);
  • Infarto cerebrale o Ictus ischemico (responsabile dell’80% dei casi di Ictus);
  • Infarto intestinale;
  • Infarto polmonare (causato da una complicanza dell’embolia polmonare).

L’esame clinico più frequente per tenere sotto controllo l’attività cardiaca e valutare l’estensione dell’infarto è l’Elettrocardiogramma (ECG) al quale vengono associati esami del sangue che rilevano la presenza di enzimi cardiaci rilasciati dalle cellule cardiache andate in contro a morte.

Oltre a perdere la capacità contrattile, le aree necrotiche conducono gli impulsi elettrici in maniera più lenta rispetto al tessuto cardiaco sano. Una estesa necrosi cardiaca può quindi disorganizzare la normale sequenza di impulsi elettrici che genera il battito cardiaco. Si parla, in questi casi, di aritmia.

Aritmie particolarmente gravi, possono portare all’arresto cardiaco (il cuore smette di battere).

La causa più comune dell’infarto è l’aterosclerosi, ossia l’infiammazione dei vasi arteriosi di maggior calibro cui segue la formazione di una placca aterosclerotica, con conseguente stenosi o trombosi.
Tra i maggiori fattori di rischio di infarto vi sono il diabete mellito, fumo e stress.

L’infarto del miocardio può manifestarsi senza sintomi evidenti oppure improvviso, causando la morte cardiaca improvvisa (MCI).

 

Arresto Cardiaco

L’arresto cardiaco è un fenomeno molto grave causato dalla cessazione dell’attività meccanica del cuore con conseguente assenza di circolazione del flusso sanguigno.

Con arresto cardiaco si definisce l’assenza di battito o la disfunzionalità cardiaca, che causa il mancato afflusso di sangue agli organi e la conseguente ipossia (mancanza di ossigenazione), molto dannosa se prolungata nel tempo e in modo particolare se a carico del cervello.

Questo fenomeno improvviso è dovuto principalmente a malfunzionamenti cardiaci di origine elettrica. Quando avviene è necessario intervenire immediatamente sul paziente, praticando un massaggio cardiaco, chiamando i soccorsi, e, se disponibile, utilizzando un defibrillatore (automatico o semiautomatico).

In caso di arresto cardiaco infatti, il potenziale salvavita di un defibrillatore automatico o di un defibrillatore semiautomatico è lo stesso.

Nel primo caso il soccorritore non dovrà effettuare nessuna azione per erogare la scarica, nel secondo caso dovrà premere il pulsante “Shock” quando richiesto.

Il defibrillatore, permette al soccorritore di somministrare al paziente una scarica elettrica che consente di riorganizzare il battito cardiaco dopo una transitoria interruzione del ritmo (pochi millisecondi) per poi ripristinarne la naturale funzionalità.

L’arresto cardiaco improvviso è una delle principali cause di morte nei paesi industrializzati.

Il cuore e il cervello resistono alla fibrillazione ventricolare solo pochi minuti, se non si agisce tempestivamente le possibilità di sopravvivenza diventano molto scarse. L’assenza di ossigeno comporta sempre gravi danni permanenti (reliquie neurologiche).

In Italia si registrano ogni anno circa 60.000 casi di morte per arresto cardiaco improvviso con un tempo utile di intervento da parte dei soccorsi di appena 3-4 minuti.
Le chance di sopravvivenza calano del 10% ogni minuto che passa dall’evento.

È fondamentale intervenire precocemente con RCP e defibrillazione dopo aver riconosciuto segni e sintomi di un arresto cardiaco (assenza di coscienza e respiro efficace) per prevenire il danno anossico cerebrale.

Il malfunzionamento del sistema elettrico del cuore può essere riconducibile a una aritmia, l’alterazione del normale ritmo di contrazione del muscolo cardiaco.

Le aritmie di solito sono benigne, non causano problemi seri alla funzione di pompa del cuore.

Esiste però un’aritmia particolarmente grave, la cosiddetta fibrillazione ventricolare, in cui l’attività elettrica del cuore è talmente scoordinata, non in grado di generare nessuna contrazione efficacie ed equivalente ad un cuore completamente fermo.

L’insorgenza dell’arresto cardiaco è spesso istantanea, senza segni clinici o sintomi premonitori.

Talvolta il paziente può avvertire una sintomatologia riferibile alla condizione clinica che è causa dell’arresto cardiaco, come palpitazioni (percezione dei propri battiti cardiaci che vengono avvertiti sul precordio, ovvero la parte del torace anteriore allo sterno), vertigini, dispnea (difficoltà respiratoria e affanno, senso di peso sul torace), dolore toracico.

L’arresto cardiaco può esordire con ritmi defibrillabili (tachicardia ventricolare senza polso o fibrillazione ventricolare) oppure, meno frequentemente, con ritmi non defibrillabili (asistolia e Pulseless Electrical Activity – PEA).

Nel caso di fibrillazione ventricolare l’unico strumento efficace che può evitare il totale arresto cardiaco ed il sopraggiungere della morte è il defibrillatore.

L’80% circa degli arresti cardiaci riguarda ritmi defibrillabili, in questi casi, l’utilizzo di un DAE impiegato entro i primi minuti dall’evento, consente l’azzeramento dell’attività elettrica alterata e fa ripartire il cuore con il suo ritmo normale.

L’arresto cardiaco colpisce nell’80% dei casi in ambiente extra-ospedaliero, l’unico trattamento efficacie è l’utilizzo immediato del defibrillatore, che se impiegato entro i primi minuti aumenta le possibilità di sopravvivenza in ambito preospedaliero dal 3% al 70%.

Solo in Italia, ogni anno potremmo quindi salvare circa 33.600 persone da arresto cardiaco improvviso, grazie all’applicazione tempestiva del DAE.

Come fare a riconoscere un ritmo defibrillabile ed uno non defibrillabile? Quando devo utilizzare il defibrillatore?

Questa importante decisione oggi la decide direttamente il defibrillatore.

I defibrillatori moderni, come i samaritan® o i LIFEPAK®, sono progettati per analizzare il ritmo cardiaco del paziente in totale autonomia, collegando elettrodi e piastre il dispositivo inizia l’analisi del ritmo. In ragione di questo sarà il DAE a stabilire se è necessario erogare la scarica elettrica oppure no.

Solo nel caso in cui si tratti di un ritmo defibrillabile, il DAE caricherà il condensatore al proprio interno e indicherà di premere il pulsante di “Shock”.
Attenzione: in presenza di un DAE interamente automatico l’erogazione dello shock avviene senza la necessità di premere il pulsante di scarica, dopo alcuni secondi di preavviso vocale.

Durante l’arresto cardiaco, anche in presenza di defibrillatore, ad eccezione della fase di analisi e di scarica, si applicano tutte le manovre di RCP (Rianimazione Cardio Polmonare) definite all’interno delle procedure BLSD (Basic Life Support Defibrillation), ovvero con l’impiego di defibrillatore.

L’acronimo BLS (Basic Life Support) si riferisce a procedure che non prevedono l’impiego di defibrillatore.

Le manovre sono indicate da linee guida di organismi internazionali e nazionali, ma tutte fanno riferimento a ILCOR (International Liaison Committee on Resuscitation), “la mamma di tutte le linee guida BLSD”. Tra i più autorevoli comitati scientifici in Italia abbiamo l’Italian Resuscitation Council (IRC) e Società Italiana di Medicina d’Emergenza e Urgenza Pediatrica (SIMEUP). Altri organismi internazionali sono l’European Resuscitation Council (ERC) e American Heart Association (AHA).

 

Nel video sottostante, la descrizione della differenza tra infarto miocardico e arresto cardiaco a cura del Dottor Francesco Bedogni, responsabile dell’U.O. di Cardiologia Ospedaliera presso l’IRCCS Policlinico San Donato​.

 

Fonti esterne:

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