Maurice Muamba, Marc-Vivien Foé e Piermario Morosini: tre calciatori colpiti da arresto cardiaco sul campo di gioco. Soltanto il primo, però, può raccontare il suo ‘miracolo’. Maurice Muamba, infatti, è stato salvato dalla prontezza e dalla tempestività con cui sono intervenuti i suoi soccorritori: 1,07 minuti dal collasso alla rianimazione cardiopolmonare e 2,21 minuti dal crollo sul tappeto erboso alla prima scarica elettrica.
Tre dolorose vicende menzionate oggi al congresso della Società europea di cardiologia (Esc), in corso a Barcellona. Il dramma del giocatore del Livorno, morto il 14 aprile 2012 al 31esimo minuto di una partita in trasferta contro il Pescara, è la chiara dimostrazione che “in Italia manca la cultura sulla defibrillazione”. Su questo fronte, purtroppo, siamo indietro anni luce, mentre siamo leader in prevenzione primaria grazie all’introduzione dello screening elettrocardiografico” per chi fa sport agonistico.
Ad affermarlo è Domenico Corrado, professore di malattie cardiovascolari dell’Università di PADova, intervenuto durante una seduta del meeting catalano dedicata alla morte cardiaca improvvisa (MCI) nello sport. “Spesso mancano ancora i defibrillatori in campo, nonostante la legge Balduzzi li abbia previsti”, sottolinea l’esperto parlando ai giornalisti italiani.
Secondo uno studio condotto in Veneto e pubblicato su ‘Jama’ dopo il via allo screening sul cuore degli sportivi, “le morti in campo sono crollate del 90%”: da 3,6 a 0,4 casi su 100.000 abitanti per anno, contro gli 1,2 casi su 100.000 abitanti per anno registrati per esempio in Olanda. “Se avessimo più risorse potremmo fare ancora di meglio e allargare lo screening con l’ecocardiografia, o magari con la diagnosi genetica”, osserva Corrado. “Ma la prima cosa da fare è educare, creare cultura. Partendo dalle scuole”.
Se massaggio cardiaco e ventilazione polmonare iniziassero tempestivamente, le possibilità di sopravvivenza in caso di arresto cardiaco sul campo da gioco passerebbero dal 17% al 50%. La rianimazione cardio-polmonare (RCP) assieme alla defibrillazione precoce fanno raddoppiare/triplicare le possibilità di salvezza. Questo è quanto emerso da un’esperienza olandese riferita durante l’incontro.
“È fondamentale spiegarlo già ai bambini sui banchi di scuola”, insiste Corrado. “Proprio come una volta c’era l’ora di educazione civica”. È necessario, inoltre, investire più risorse sulla cardioprotezione degli impianti sportivi dotandoli di un numero sufficiente di defibrillatori semi-automatici da posizionare, in maniera opportuna, all’interno delle strutture stesse, e lavorare sempre di più sulla diagnosi precoce.
In circa il 23% dei casi, infatti, le analisi post-mortem non rivelano alcuna anomalia apparente. Decessi misteriosi “un tempo archiviati come ‘morti bianche’ – precisa lo specialista – ma che invece ora hanno una spiegazione: la causa è riconducibile a malattie dei canali ionici, patologie di origine genetica che possono essere svelate dall’autopsia ‘molecolare’ sul sangue della vittima”. O meglio ancora “da uno screening genetico dei familiari, in modo da identificare eventuali anomalie in altri componenti” per cercare di evitare altri lutti.