Un’altra vita salvata da un defibrillatore samaritan PAD di HeartSine. Questa volta è successo il 10 settembre scorso a Rovigo, al Circolo Tennis di viale Tre Martiri.
A essere colpito da arresto cardiaco è stato un ragazzo 26enne. Il malore è arrivato mentre si trovava in campo a giocare, poco dopo il suo arrivo. L’allarme è stato dato da un ragazzo che si trovava in campo insieme alla vittima. È intervenuto subito un socio del Circolo, presente in quel momento nella struttura.
Fortunatamente il Circolo Tennis è dotato dal 2014 di un defibrillatore samaritan PAD di HeartSine, fornito da EMD118.
Il soccorritore, pur non avendo mai usato prima il defibrillatore, prima di raggiungere il giovane colpito da malore ha preso con sé il defibrillatore a servizio della struttura. Arrivato in brevissimo tempo sul giovane riverso a terra, ha constatato, secondo le manovre di rianimazione cardio-polmonare, che il giovane non respirava e che anche il cuore si era fermato. Senza perdere tempo il socio del Circolo ha posizionato gli elettrodi sulla pelle nuda del 26enne.
A questo punto le caratteristiche del defibrillatore HeartSine, il più semplice dispositivo salvavita in commercio, e i suoi comandi vocali e visivi, hanno fatto la differenza. Il soccorritore, come ha raccontato in un’intervista al giornale La voce di Rovigo, ha eseguito gli ordini del defibrillatore, che ha annunciato l’erogazione della scarica. Quindi, una volta erogata, il soccorritore ha iniziato a praticare il massaggio cardiaco seguendo il tempo scandito dal defibrillatore, continuando fino a nuove disposizioni del dispositivo. Il DAE ha eseguito una nuova analisi e ha ordinato di continuare il massaggio cardiaco. Nel frattempo sono arrivati sul posto anche i medici. Poco dopo, il lieto fine. Il cuore del 26enne ha ricominciato a battere, dopo che il defibrillatore aveva erogato una scarica soltanto.
Il caso di Rovigo conferma le statistiche secondo le quali con i defibrillatori HeartSine, nel 90% dei casi, il paziente torna in vita dopo una scarica soltanto.
Come racconta la vicenda di Rovigo, la presenza di un defibrillatore in loco fa la differenza tra salvare una vita e perderla.
Di seguito riportiamo l’intervista di Ketty Areddia al soccorritore Marco Bragante, 40 anni di Rovigo, pubblicata sul giornale La voce di Rovigo il 23 settembre 2015.
Com’è andata?
«Erano le 20.20 e il ragazzo era arrivato da poco dal lavoro, mentre già giocavano. Lo avevano messo in porta. Io ero al bar, che in qualità di socio gestisco con mio padre da 5 anni. A un certo punto è arrivato un ragazzo di gran corsa, trafelato. Mi ha detto che c’era un ragazzo in campo che non respirava più. Ho preso il telefono e sono andato nella stanza dove teniamo il defibrillatore, che abbiamo comprato nel 2014. Non lo avevo mai usato, ma me lo sono portato dietro lo stesso».
In che condizioni era il ragazzo?
«Era disteso e attorno a lui una trentina di persone, erano arrivate da tutti i campi del circolo che quel giorno lavorava a pieno ritmo. Erano tutti come congelati dallo shock. Ho messo due dita bagnate sotto il naso del ragazzo ma non respirava. Ho tastato velocemente il polso e non c’erano segnali, allora ho aperto il macchinario e ho posizionato i sensori sulla pelle nuda».
Dalla centrale del Suem la teleguidavano?
«Erano attimi concitatissimi e non sono riuscito a seguire nessuno. L’operatore del Suem parlava con il maestro di tennis. Ho agito come in trance. Il defibrillatore ha fatto un’autoanalisi del corpo e ha visto se rilasciare o meno la scarica. Quando lo strumento ha dato l’ok ho gridato a tutti di allontanarsi dal campo. Il macchinario ha dato la scarica e il corpo si è sollevato di 10 centimetri buoni dal campo. Poi ho cominciato a praticare il massaggio cardiaco. Con le dita tra le costole finali. Il defibrillatore mi dava il tempo del massaggio. Finché non dice di smettere non bisogna interrompere. Poi il defibrillatore ha fatto un’altra analisi del corpo e ha detto di ripetere il massaggio. Nel frattempo ricordo che sono arrivati i dottori del Suem. Mentre si preparavano a me facevano male le braccia e mi sono fermato un secondo. Allora i medici mi hanno gridato ‘muoviti, muoviti, continua’. Ho dato altri quattro colpi sul petto ed è resuscitato dall’aldilà, il cuore ha ricominciato a battere. I medici lo hanno stabilizzato e intubato».
Come si è sentito?
«Quando ho sentito che respirava mi sono accorto che stavo piangendo».
E mentre massaggiava il ragazzo, ricorda cosa pensava?
«Mi sono detto speriamo che non muoia. C’ero a massaggiare il militare della caserma che era qui a giocare a calcetto quando è morto. È stato dopo la sua morte che abbiamo deciso di comprare il defibrillatore».