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Arresto cardiaco: 60.000 morti all’anno, ma i defibrillatori non sono obbligatori in scuole e uffici

Sicuramente, se nelle scuole o negli uffici non fossero presenti gli estintori e non venissero svolte prove di evacuazione degli edifici, qualcuno solleverebbe il problema. Nessuno, però, si preoccupa della presenza o meno di un defibrillatore semiautomatico esterno (DAE) all’interno delle stesse scuole o degli stessi uffici.

Eppure, mentre di incendio muoiono ogni anno circa 180 persone, in Italia le vittime di arresto cardiaco sono più di 60.000: una circa 9 minuti. Tra queste, il 7% ha meno di 30 anni e il 3,5% ne ha meno di 8, il che significa che ogni anno muoiono 4.200 giovani e ben 2.100 bambini, nel silenzio generale.

Il motivo per cui le vittime sono così numerose è soprattutto uno: l’assenza, o la scarsa presenza, dei defibrillatori sul territorio. Ad oggi, infatti, i defibrillatori sono obbligatori solo nelle strutture sanitarie o sociosanitarie, nelle ambulanze e negli ambulatori pubblici e privati.

Nessun obbligo, invece, è presente per le scuole, le aziende o le associazioni, per le quali il defibrillatore è solamente consigliato dal Ministero della Salute. Nulla viene detto, infine, per i condomìni, anche se è stato ampiamente dimostrato che la maggior parte degli arresti cardiaci avviene, oltre che sul lavoro, all’interno delle proprie abitazioni e in presenza di testimoni.

Obbligo defibrillatori: il Decreto Balduzzi

Da circa un anno qualcosa è cambiato per coloro che praticano un’attività sportiva con un discreto impegno cardio-circolatorio. Dal luglio 2017, infatti, dopo ben 4 proroghe, è entrato in vigore il famoso Decreto Balduzzi.

La legge prevede l’obbligo per le società e per le associazioni sportive dilettantistiche di dotarsi di un defibrillatore semiautomatico esterno (DAE) e di personale formato al suo utilizzo.

“Ancora oggi”, – ha spiegato Mirco Jurinovich, Presidente della Onlus 60mila vite da salvare e da anni impegnato a diffondere la cultura del defibrillatore, “leggo numerose notizie di associazioni sportive che ricevono in donazione i prescritti defibrillatori e formano il loro personale all’utilizzo. Ciò significa che molte realtà sportive non si sono ancora messe in regola, anche se non ci sono notizie di indagati per omicidio colposo laddove si siano verificati decessi di atleti in impianti sportivi non dotati di defibrillatori DAE. Ritengo, però, che il problema serio sia dovuto al mancato obbligo di presenza di personale formato durante lo svolgimento degli allenamenti o nelle gare non ufficiali, perché ciò significa che agli atleti tesserati non viene garantita una cardioprotezione adeguata durante i 2/3 dell’attività”.

Formazione DAE: un obbligo solo italiano

Secondo la legge italiana, solo le persone che hanno partecipato ad un corso di formazione BLS-D possono utilizzare i defibrillatori DAE in caso di necessità. Ma a detta dei cardiologi dell’ultimo Congresso della European Society of Cardiology, che si è concluso pochi giorni fa, questa misura andrebbe tolta perché riduce drasticamente il numero di vite salvate.

Lo spiega bene uno studio del Policlinico San Matteo di Pavia, a firma del cardiologo Enrico Baldi: i DAE sono troppo poco utilizzati, e questo nonostante il tentativo di far ripartire il cuore prima dell’arrivo di un’ambulanza aumenti il tasso di sopravvivenza dal 24% al 60% (quando c’è un arresto cardiaco per ogni minuto che passa si perde il 10% della possibilità di salvare la persona).

Negli altri Paesi d’Europa, come in Danimarca, Francia, Germania, Olanda, Svezia, Svizzera, Gran Bretagna, l’utilizzo dei defibrillatori semiautomatici esterni è stato liberalizzato e, quindi, ogni cittadino “laico” è consapevole del fatto che in caso di emergenza può intervenire utilizzando il defibrillatore più vicino, senza violare alcuna legge.

Questo significa”, – ha continuato Jurinovic, – “che chi si recasse in Francia o nel Regno Unito potrebbe, in caso di necessità, utilizzare liberamente uno dei defibrillatori DAE presenti all’interno delle numerose bacheche pubbliche, mentre in Italia, senza un attestato di formazione riconosciuto (ottenuto quasi sempre a pagamento), nella migliore delle ipotesi dovrebbe attendere l’autorizzazione telefonica dell’operatore 118, altrimenti si dovrebbe limitare ad eseguire solamente il massaggio cardiaco. Anche se, come recita l’art. 54 del nostro codice penale, un qualsiasi cittadino non formato che utilizzasse un defibrillatore DAE in caso di necessità non sarebbe comunque perseguibile penalmente.

Un vero e proprio controsenso. Anche perché i defibrillatori DAE sono estremamente facili da utilizzare: basta accenderli e applicare gli elettrodi al torace del paziente (seguendo le istruzioni visive riportate su di essi).

Sarà il dispositivo stesso ad effettuare un ECG per verificare lo stato di arresto cardiaco del paziente ed, eventualmente, a predisporsi per erogare una scarica elettrica al cuore.

Nel caso non fosse necessario, quindi, sarebbe impossibile, anche premendo il pulsante di scarica, defibrillare il paziente.

Emergenza scuole

Nonostante accada di frequente che una persona vada in arresto cardiaco in un luogo pubblico affollato, o per strada, non esistono nel nostro Paese né una mappatura nazionale accessibile al pubblico né percorsi segnaletici che conducano gli eventuali soccorritori ai defibrillatori presenti. L’altra emergenza sta nell’assenza di defibrillatori nelle scuole.

Qui i giovani trascorrono la maggior parte del loro tempo e per questo sarebbe così importante la loro presenza”, – ha spiegato Gabriele Bronzetti, cardiologo al Sant’Orsola di Bologna.

Cosa bisognerebbe fare, allora? “Anzitutto, andrebbe evitata la retorica dei fiori sul banco vuoto e lo stupore del ‘fino a un secondo prima la vittima stava bene’. Bisognerebbe, invece, che gli studenti apprendessero la cultura del primo soccorso e che imparassero a utilizzare i defibrillatori nello stesso modo in cui sanno usare uno smartphone: è stato ampiamente dimostrato che un dodicenne potrebbe manovrare tranquillamente un defibrillatore.

Lo stesso vale anche per la Rianimazione Cardio-Polmonare, o RCP, (una manovra temporanea e non risolutiva come il defibrillatore), tanto è vero che un gruppo di medici bolognesi, coordinato dall’anestesista Federico Semeraro, ha creato qualche tempo fa un videogame – ‘Relive’ – che attraverso la realtà virtuale e il rilevamento dei movimenti del giocatore insegna le suddette manovre in maniera innovativa e divertente.

Buone sperimentazioni da copiare

In Italia sono tante le sperimentazioni e le best practice sul tema dell’intervento precoce in caso di arresto cardiaco. Sul fronte dei condomìni, ad esempio, il progetto più noto è quello della città di Piacenza, dove l’associazione ‘Progetto Vita’, fondata dalla cardiologa Daniela Aschieri, ha creato un intero quartiere cardioprotetto, con defibrillatori installati presso i condomìni privati. L’obiettivo finale è quello di installare un defibrillatore ogni 150 metri, per aumentare di quattro volte la sopravvivenza di chi viene colpito da un arresto cardiaco improvviso.

Sul fronte dell’intervento in strada, invece, in Emilia Romagna è stata sperimentata con successo una app, integrata col sistema 118 regionale, che si chiama DAE RespondER. Come funziona? L’app allerta le persone registrate all’applicazione nel caso la centrale operativa 118 identifichi un sospetto arresto cardiaco nell’area per cui l’utente ha dato la propria disponibilità a intervenire e consente, inoltre, di localizzare il defibrillatore più vicino, per poterlo recuperare e per poterlo utilizzare sul paziente. Per cambiare le cose, però, ci vorrebbe anche altro.

Senza dubbio, servirebbe una modifica della legge 120/2001”, – ha continuato il presidente della Onlus ‘60 mila vite da salvare’, –che liberalizzi l’utilizzo dei DAE, slegandolo da assurdi obblighi formativi, sostituendoli con una massiccia campagna informativa che crei cultura e che faccia superare paure e superstizioni. Inoltre, occorrerebbe parlare di più dell’incidenza della patologia e dei metodi, disponibili, da 20 anni, per contrastarla. Le campagne sul tema dell’arresto cardiaco e della defibrillazione precoce sono troppo poche a confronto di quelle sul tabagismo o sull’Aids. Indispensabile, inoltre, sarebbe anche un provvedimento di natura economica per abbattere, o eliminare, l’IVA al 22% che grava sull’acquisto dei defibrillatori”.

Insomma, le mani, invece che nei capelli, si possono mettere sul petto di un altro e su un apparecchio che ci prende il 99,99% delle volte”, – ha puntualizzato, infine, Bronzetti.


Fonte: https://it.businessinsider.com/arresto-cardiaco-60-000-morti-in-italia-ma-i-defibrillatori-non-sono-obbligatori-in-scuole-e-uffici/

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